La dialettica di Philippe Daverio a Modena
L’autore al Forum Monzani
di Matteo Franzoni – 19 febbraio 2018
Ennesimo successo di pubblico per la rassegna “Incontri con gli autori” organizzata da BPer Banca al Forum Monzani di Modena con la partecipazione di Philippe Daverio a presentare il suo ultimo libro “Ho finalmente capito l’Italia. Piccolo trattato ad uso degli stranieri (e degli italiani)”.
Modena accoglie con il consueto entusiasmo Philippe Daverio, il Forum Monzani si presenta esaurito in ogni ordine di posto ben prima dell’arrivo del critico d’arte, nonché docente e scrittore che torna nella città della Ghirlandina per presentare il suo ultimo libro, “Ho finalmente capito l’Italia. Piccolo trattato ad uso degli stranieri (e degli italiani)”.
Momento iniziale di grande commozione quando viene ricordato con affetto Roberto Armenia, giornalista modenese appena scomparso che ha speso la sua vita per la cultura e l’arte, poi viene data parola a Daverio, che colpito sente il pianto di un bambino e stupito domanda “Anche i bimbi in sala? Dedichiamo a loro la serata, sono loro che rappresentano il nostro futuro”. E da questo spunto parte una stoccata all’Italia perché lo scrittore afferma di essere piuttosto critico con il nostro paese che non crede nei bimbi e nei creativi, come i politici italiani che anche in questo momento storico non parlano mai del futuro dei giovani. Prende poi a parlare del suo nuovo libro dicendo che solitamente è dedito scrivere d’arte, soprattutto grazie alla sua estrazione di cultura franco-tedesca che gli ha insegnato che la storia non è rappresentata solo dalle battaglie ma soprattutto dai particolari e dettagli tangibili come quelli artistici. Il documento artistico è un cortocircuito temporale perché ci mette in contatto con quel periodo storico con grande velocità. Daverio dice di non essere un critico d’arte ma di essere un antropologo culturale, da qui la decisione di scrivere e indagare sull’italianità. Ha fatto questa scelta per spiegare agli altri popoli europei, tedeschi, inglesi, francesi e spagnoli su tutti chi siamo. Ha voluto donare una lettura della storia diversa andando a ricercare cosa rende diversi gli italiani, usando come esempio il mestiere di contadino, che in Germania ha grande importanza perché il contadino è colui che cura la campagna mentre in Italia il mestiere ha un connotato negativo, quasi di insulto. Gli italiani per Daverio sono comunali, non si riconoscono nel linguaggio del governo ma si riconoscono spesso nel linguaggio del proprio comune. Altra particolarità italiana, si litiga spesso sotto il proprio campanile ma se lo si abbandona si va a litigare sotto un altro campanile, questo perché l’italiano è legato al tifo e porta ad esempio la lotta tra guelfi e ghibellini. Scherzando con il pubblico modenese che lo ascolta rapito decide di fare outing e svela di essere ghibellino perché preferisce l’Europa al papato. Per l’italiano l’incertezza di fronte alla stabilità è endemica, siamo inclini al dubbio e abbiamo i terremoti che ci rendono instabili. L’identità collettiva, le ansie che gli italiani si portano dietro hanno origini profondissime. Come professore di architettura afferma che il popolo italiano ha inventato le città più belle del mondo dagli etruschi agli anni sessanta, poi l’architettura è stata stravolta dopo il crollo di alcune case ad Agrigento e all’alluvione di Firenze, sono state cambiate le regole rendendo peggiore il risultato. In Italia non c’è unione, non è un paese monarchico, per Daverio ragionare sull’italianità è intrigante perché è intrigante la storia italiana grazie alle differenze che la rendono unica. L’unicità è uno dei grandi valori italiani ma è anche motivo di melanconia e depressione perché siamo convinti che il governo precedente sia sempre meglio del successivo e conclude dicendo che capire l’identità della tribù rende possibile una politica migliore.