Sergio Zavoli
Maggio Fioranese che parte con il botto, Sergio Zavoli
è infatti il primo e graditissimo ospite della rassegna “incontri con l’autore”.
L’illustre giornalista presenta a Fiorano il suo ultimo libro “Il ragazzo che fui”
e si apre alla platea raccontando del suo lavoro, della sua vita e delle sue passioni.
L’ultima fatica letteraria di Sergio Zavoli
L’incontro con il pubblico che affolla il teatro Astoria vede Zavoli parlare subito del suo ultimo lavoro
pubblicato, “Il ragazzo che fui”. Riceve molti complimenti per il titolo e ne è lusingato dato che il titolo in un
libro è fondamentale così come lo è la copertina, ma svela che non ha alcun merito visto che lo ha scritto
prendendo una citazione di Bernanos: “Ho visto tante morti nella mia vita ma il più morto di tutti è il ragazzo
che io fui.”
Gli è parsa una bella frase per il libro che parla del farsi di un ragazzo in un uomo.
Lo ha scritto per un piccolo ragazzino che è entrato a far parte della sua vita, suo nipote Andrea, sul quale
ha puntato tutte le sue attese e speranze.
Il libro parla appunto di memoria, la sua. La memoria è un bene da coltivare, è nella vita di ciascuno di noi, è
nella collettività, è nella società.
Ha sentito la necessità di lasciare un segno a qualcun altro per poter far sapere ciò che è stato, perchè il non
sapere più da dove veniamo, chi siamo stati, che scelte abbiamo fatto sarebbe come morire. Inizia il
racconto con una storia personale: lui da piccino ricopiava i segni dei caratteri del Corriere della Sera che
comprava suo papà senza capirne il significato, però era bravo. Un giorno senti suo padre che diceva alla
mamma “Vedrai, questo figlio finirà nei giornali”. Lui si allarmò pensando che quando si dice “è finito sui
giornali” in genere succede per una cattiva azione, ma quella sorta di profezia significò per Zavoli, una volta
adulto, un avvertimento a stare attenti a quello che si scrive come forma di responsabilità.
Il giornalismo e la cultura secondo Zavoli
Ci confessa che la sua è di una generazione nata con i libri e che un giornalista che si rispetti, stanco di
scrivere pezzi per un quotidiano, prima o poi si ritrova a scrivere libri.
Questo accade in un tempo sfavorevole con il trionfo del web, teme fortemente dell’uso che si farà della
parola, dell’italiano, ma non addossa la colpa al sistema mediatico.
Dice che tutto comincia dalla scuola, che dovrebbe insegnare l’osservanza di alcune regolette che
dovrebbero essere rispettate e cita Flaiano con una massima che dovrebbe far ridere ma purtroppo è
inquietante: “Tutto quello che non so l’ho imparato a scuola” e questo la dice lunga sulla reputazione che si è
guadagnata la scuola che è uno strumento fondamentale per la crescita di un paese.
Si fa un gran parlare di economia e finanza dimenticandosi delle questioni civili, morali ed etiche che sono
cruciali per uscire da uno stato di malattia latente che ha colpito il paese.
Zavoli all’età di novanta anni dice che bisogna ripristinare l’idea che vivere è un’impresa, non è un gioco,
vivere è impegnarsi per qualche cosa, vivere vuole dire saper accettare i confronti ed essere consci del fatto
che da soli non si va lontano.
Sapere che la vita riserva dolori, che ci sono milioni di persone che non hanno potuto ricevere cultura e
civiltà e che queste persone hanno bisogno di noi.
Dare un senso alla parola globalizzazione dovrebbe dire che siamo tutti uguali, altrimenti prevale il
pregiudizio che non valga più la pena di preoccuparsi di chi non ha potuto avere le basi culturali per potersi
aggiungendo che se fosse stato all’interno di un gruppo regolare si sarebbe chiamata diserzione. Disse
Zavoli: ”Voi terroristi siete una rivoluzione senza popolo e la rivoluzione ha ancora un connotato nobile se
sostenuto dal popolo in senso democratico.”
La risposta è stata: “Me ne sono andato perché non avevo più le parole, non sapevo più per cosa
combattevo, non sapevo più come dirmelo. Lei non ci crederà ma la sera andavo a vedere il telegiornale per
sentire cosa dicevano di noi e per capire quello che facevamo.”
Ecco l’importanza della scrittura, per sapere quello che siamo stati.
Inchiesta Credere e non credere
Zavoli, stanco dei soliti e continui varietà in prima serata RAI, propose di realizzare un’inchiesta sul credere e
non credere. Tutti i dirigenti subito non ebbero il coraggio di dargli del pazzo e gli dissero che si sarebbe
potuto fare per la terza rete in seconda serata. Lui si impuntò spiegando le sue ragioni sul perché lo volesse
in prima serata su RAI uno e senza interruzioni pubblicitarie.
Riuscì a realizzare il suo progetto in sei puntate che ebbero un successo enorme, per la prima volta gli
spettatori, compresi i bambini, potevano godere di uno spettacolo che non era il solito intrattenimento, ma li
induceva a pensare a questioni serie, alla propria interiorità.
Pensieri di vita
Nel continuo flusso di informazioni, racconti e ricordi viene il momento di parlare dell’uomo e del suo vivere.
Secondo Zavoli non si può vivere senza percepire la presenza dell’altro, avere confidenza, interesse e
solidarietà e la complicità per non essere più una persona, divenire un gruppo , un popolo e uno stato. Per
l’autore la politica è trovare soluzioni assieme per poter rivalutare la politica in un momento storico come
quello in cui viviamo. Ricorda Prezzolini di destra e Amendola di sinistra, due uomini lontani tra loro ma che
dissero la stessa cosa: questa Italia non mi piace.
Elogia poi la parola comunità che vuole dire mettere in comune, cioè riconoscersi negli altri e tutto questo è
democrazia, cioè convivenza e rispetto.
L’ideologia ha trasformato l’idea in sudditanza
L’autore è sempre per dare voce a tutti tranne agli estremisti che spesso sfociano in gesti di violenza gratuita
sfasciando vetrine, dando fuoco alle auto, creando guerriglia urbana. Per dirla con parole sue “è l’imbecillità
che si appassiona” alla politica. Bisogna stare attenti agli estremisti, serve libertà ma all’interno della libertà
ci deve essere un ordine, una disciplina e una regola, non si posso accettare i provocatori che si infiltrano
sollevando così il sospetto che la democrazia non sia in grado di mantenere un ordine costituito in cui il
paese si possa riconoscere.
La comunicazione di oggi
Chi si fa mediatore tra i fatti e l’opinione pubblica ha una grande responsabilità perché è un maestro di vita
che deve indurre il lettore a farsi consapevole del fatto che la realtà è molto più complessa di quanto non si
pensi e che per sapersi difendere bisogna conoscere questo e quello, ma oggi non accade più perchè la
velocità nella comunicazione esercita il potere sul mondo e dovremmo essere in grado di trasformare il
nostro giudizio su una cosa appena giudicata perché tutto quello che stiamo per fare è già vecchio rispetto a
ciò che dovremmo fare. La velocità ha coinvolto tutti, dagli intellettuali alla gente semplice senza che ce ne
accorgessimo. Paragona la velocità ad uno tzunami che fa piazza pulita di tutta l’umanità che non sa reggere
questi fenomeni, che non ha tempo di soffermarsi e verificare la veridicità e le opinioni della notizie. Oggi la
comunicazione conta di più che la stessa economia e non vi è dubbio che la responsabilità civile del
giornalista è alta perché deve sapere che da ciò che scrive ne derivano molte scelte, ecco quindi che vi è la
necessità di verifica e riscontro delle parole scritte per avere la certezza di lavorare per il meglio e non solo
per compiacere. I giornalisti devono sentirsi responsabili perché una notizia può far crescere nel bene come
nel male.
Consigli per un giornalismo d’altri tempi
Non potevamo che chiudere l’intervista chiedendo consigli su come continuare l’attività di giornalista e il grande autore ci ha sorpreso dicendo di non farsi troppe illusioni, di non farsi affascinare troppo dal giornalismo, poi ha citato un suo grande collega purtroppo scomparso, Enzo Biagi, suggerendo un segreto per essere bravi giornalisti: bisogna avere buona salute, essere molto curiosi e aver voglia di scarpinare, cioè avere voglia di darsi da fare essendo disponibili ad andare e tornare in fretta per redigere l’articolo e subito buttarsi a capofitto su altri pezzi che possono essere di tutt’altra natura rispetto al precedente, quindi essere molto duttili e disponibili.
Afferma che l’imparzialità è fondamentale non solo per i giornalisti, poi ci pensa un attimo e si convince del fatto che in modo particolare ai mediatori tra i fatti e l’opinione pubblica si chiede di essere puntuali nella ricerca del vero o del verosimile. Se al vero non è possibile attingere o un giornalista ha pregiudizi è bene che rinunci a fare questo mestiere.
Chiude dicendo che il nostro paese si è un poco ammalato a causa della perdita dei buoni valori abbandonati come fossero ferri vecchi, ma ritiene che l’amore per la cultura ci farà ricredere anche nei confronti dei paesi esteri. Elogia la città di Fiorano che ha il grande merito di valorizzare gli scrittori e i libri, simboli di cultura e libertà e da questo piccoli oggetti pieni di parole forse ci potrà essere una ripartenza.
Matteo Franzoni
16 maggio 2014
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